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domenica 2 ottobre 2016

L'Università fra tagli e accuse di "parentopoli"

La settimana scorsa abbiamo assistito a una fiammata di interesse per l’Università italiana.
Tutto è cominciato da un intervento di Raffaele Cantone, responsabile dell’Autorità nazionale anticorruzione, e da un po’ di dati generali e commenti apparsi sui giornali.
Sul Corriere della Sera sabato 24 settembre appare con grande evidenza un’inchiesta sullo stato dell’Università italiana, corredata da alcune tabelle (fonte OCSE).






I numeri non danno un quadro confortante, e su questo l’accordo è generale.
Ma la qualità del “prodotto” in termini di laureati e dottori di ricerca sembra abbastanza alta, se si prende in considerazione la presenza abbondante di ricercatori italiani nelle università straniere.
La spiegazione? Cantone mette sotto accusa la “parentopoli” delle cattedre, che costringerebbe i migliori ad andarsene all’estero. La maggior parte dei media si accoda: c’è una casta da additare al pubblico ludibrio, come resistere? Subito fioccano le repliche di parte accademica, col sito ROARS in prima fila (potete seguire qui il dibattito): in sostanza parentopoli è una brutta cosa, ovviamente, ma, a un tentativo serio di analisi non può superare il 3% del corpo docente.  Dunque non basta assolutamente a spiegare la fuga dei cervelli, il problema vero è che non si fanno concorsi per ricercatori, e i giovani di talento sono costretti ad emigrare.

Allora è tutto risolto? Cantone ha preso una cantonata, basta dare più soldi alle università e abbiamo in pugno l’happy end della storia?
Forse qualche riflessione in più bisogna farla.
E’ vero che parentopoli in senso stretto è un fenomeno limitato e che ogni tanto emerge mediaticamente perché fa tanto “casta”.  Ma esistono altri tipi di filiere accademiche e consorterie, non sempre virtuose, a dire il meno. In conclusione mi sembra necessario resistere alla pressione mediatica che immagina di rispondere ad ogni imperfezione della società con un aumento del controllo politico. Come pure ribadire, contro ogni faciloneria moralistica, che le Università possono crescere solo se utilizzano procedure di cooptazione, ossia se sono messe in condizione di scegliere chi è in grado di farne parte. Certamente la cooptazione rischia sempre di degenerare in consorteria, ma la via maestra per disinnescare questo pericolo sta nella promozione di comportamenti virtuosi senza invadere autonomie e specificità: monitoraggio dell’offerta formativa, valutazione dei risultati della ricerca e della didattica, esame costante della ricaduta occupazionale.
Non ci si può proclamare zona franca rispetto a qualunque valutazione, sottolineando le ovvie imperfezioni nei criteri, e contemporaneamente usufruire di sovvenzioni pubbliche.Su questo punto il mondo universitario si sta misurando da anni, anche con polemiche e aggiustamenti. Ma forse è necessario fare qualche passo consapevole, certo dell’accademia, ma anche da parte del ceto politico, che ogni tanto si accorge del problema e a volte è tentato di dare qualche risposta frettolosa, e magari mediaticamente penetrante.

2 commenti:

  1. Bel tema. A parte il polverone (il cosiddetto "studio" sull'argomento è una bufala scientifica e l'intervento di Cantone un'altra bufala), mi pare che intanto sia da notare che la "continuità familiare" è probabilmente maggiore nelle libere professioni (e nelle imprese) di quando non sia nella pubblica amministrazione e nell'università. Cioè *non* è una questione di P.A. o di concorsi pubblici.
    Nel campo specifico, ci sarà senz'altro qualche caso clamoroso (e bisognerebbe occuparsi di quelli, probabilmente non sono molti, invece di far polveroni all'italiana, tutti colpevoli e quindi tutti assolti).
    Ma è ancora più sicuro che ci sono genealogie di alto livello (cito un caso solo e storico ma ce n'è a iosa: Adolfo Venturi, Lionello Venturi, Franco Venturi). Ci sono, ovviamente, sia nell'università che altrove, per l'importanza che hanno la formazione della persona e la trasmissione di valori, capacità e interessi nella famiglia (e senz'altro c'entra anche la genetica, ma me ne intendo molto poco).
    Altrettanto ovvio è che, se la scuola (e in genere i poteri pubblici) fa poco o niente per intervenire sui dislivelli di partenza, i più bravi - obiettivamente (nei limiti in cui esiste l'obiettività) e non perché raccomandati - saranno quelli che vengono dalle famiglie di più bravi. Se i miei figli (e quelli di mio fratello) fossero nati al Biscione o a Corviale in una famiglia in cui i genitori non sanno l'italiano e si picchiano fra loro invece di aver fatto l'università e leggere dei libri, dubito che sarebbero così bravi come sono. Le eccezioni esistono, ma esiste anche la statistica (anche se gli italiani faticano a capirla). Se la società non c'è o non fa, è chiaro che resta la famiglia.
    (Altrettanto ovvio, a voler continuare il ragionamento, è che anche gli allievi, come i figli, non nascono e crescono sotto i cavoli)

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  2. La notizia che Renzi si fara' anche le sue commissioni e i suoi professori (senza concorso, con stipendio ad personam, ecc.) conferma che la bufala non era solo una bufala: era semplicemente il lancio di questa nuova occupazione di spazi (e soldi dei contribuenti) da parte dei raccomandati della politica (di cui gia' l'Italia e' piena), ignoranti e strapagati.

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